Lucio Giuliodori


ESTRATTO



Ciò che emerge dall’opera di questi  grandi maestri è un’impellente, dirompente e trasversale necessità espressiva che nella multilateralità creativa concreta  la sua sostanza precipua in cui la facondia e la pluralità dei linguaggi travalica e ingloba frattalicamente musica, poesia, letteratura, filosofia e psicologia. In Anatol  Sgalambro sentenzia: «comunicare è da insetti, solo esprimere ci riguarda»[1].

(...)

Gadamer disse che «la cultura è l’unico bene che se condiviso aumenta». Specificità non presuppone esclusività, non impone univocità piuttosto marcate diversità fomentano e promuovono ricchezza sincretista: in un connubio di tale portata, di tale profondità introspettiva, quale quella proposta dagli autori presi in esame in questo saggio, è la libertà espressiva, valorizzante e valorizzantesi nella tesaurizzazione del sapere, a fondare un rutilante sentiero di conoscenza.

Lo sguardo lucido e disincantato di Cioran non si stancava di ripetere che laddove v’è un’idea condivisa vi è pericolo, mortale ai suoi occhi, catastrofico e irrimediabile: «Mi basta sentire qualcuno parlare sinceramente di ideale, di avvenire, di filosofia, sentirlo dire «noi» con tono risoluto, invocare gli «altri» e ritenersene l’interprete – perché io lo consideri mio nemico»[1].
Ciò che l’incontro tra personaggi così «diversi» come Battiato, Sgalambro e Gurdjieff può rappresentare è un arricchimento certo, vero proprio in virtù della diversità sulla quale poggia le  fondamenta.

Lo scandalo dell’essere al mondo impone quell’atteggiamento che del filosofo è precipuo: la meraviglia, cui consegue l’inebriamento, lo slancio erotico, finanche l’innamoramento o l’amore stesso. Amore per il sapere. Questo e solo questo salda il trittico in questione.
Arte, filosofia e spirito rappresentano tre Vie che nella primazia della conoscenza sprofondano il loro proteiforme dialeghestai.
Già Nietzsche icasticamente asseriva:

«”Verità”, come intende questa parola ogni profeta, ogni settario, ogni socialista, ogni uomo di Chiesa, è una completa dimostrazione del fatto che non si è ancora neppure intrapresa quella disciplina dello spirito e quel superamento di sé che sono necessari a trovare una qualsiasi piccola, anche assai piccola verità»[2].

L’aforisma invita a guardarsi dagli assolutisimi, dai sistemi, dai dogmi, dai profeti, dagli ideali e dalle ideologie, politiche o religiose: esse sì, costituiscono pericolo agli occhi di uno spirito libero, proclive a sguardi oltre i tempi e gli spazi comunemente consentiti. A Nietzsche fa eco ancora il genio spiazzante di Cioran, freddo analizzatore del mondo postumo alla morte di Dio:

«Io mi sento più al sicuro accanto a un Pirrone che a un San Paolo, per il motivo che una saggezza arguta è più  mite di una santità scatenata. […] Non ci si difenderà mai abbastanza dalle grinfie di un profeta… […] egli non vi perdona di vivere al di qua delle sue verità e dei suoi slanci; la sua isteria, il suo bene, vuole farveli condividere, imporveli e snaturarvi.  […] Guardatevi attorno: dappertutto larve che predicano […] La società è un inferno di salvatori!»[3].

 


Note


[1] M. SGALAMBRO, Anatol, Adelphi, Milano 1990, p. 96.


[2] E. CIORAN, Sommario di decomposizione, tr. it. di  M. A. Rigoni e T. Turolla, Adelphi, Milano 1996, p. 15.

[3] F. NIETZSCHE, L’Anticristo, tr. it. di F. Masini, Adelphi, Milano 1977, p. 38.

[4] E. CIORAN, cit. p. 15.








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