Lucio Giuliodori

In copertina: Dino Valls, Insania.









ESTRATTO




"Il volto dunque è proprio l’archetipo, che traduce, trasla l’inconscio nella realtà di veglia, svegliandolo.
Il tempo quale dimensione sospesa dell’essere, la sessualità androgina, ancestrale e pura, le verità esoteriche citate ampiamente dal pittore: sono questi gli elementi che rendono tale artista un gioiello straordinario del nostro tempo. È proprio la profondità dei temi trattati dall’artista a porlo fuori dal surrealismo a cui egli dunque non appartiene, se non per trascenderlo, dando corpo ad un movimento e uno stile che è solo suo.


(...) Se quindi l’inconscio crea i simboli, se i simboli hanno la capacità unificativa delle rappresentazioni sensoriali e spirituali e se la pittura valsiana produce un contatto con l’inconscio, un vero e proprio dialogo con esso, in cui non solo il pittore ma anche lo spettatore è chiamato in causa, in virtù della già citata metafora junghiana del teatro, allora va constatato un valore «talismanico» nella produzione artistica del pittore spagnolo, il quale al pari dei grandi iniziati del Rinascimento mette in atto processi che partendo dalla sfera artistica giungono ermeticamente a quella magica". 


(...) Se dunque in Buttò è il senso del peccato a riempire costantemente la scena, spesso con toni estremi, in Valls prevale l’aspetto meditativo, riflessivo, introspettivo che allude a una sospensione temporale ravvisabile negli sguardi obnubilati dei suoi personaggi. E’ in essi appunto, nella loro nudità, che deflagra una sorta di unione degli opposti: quegli occhi che ci guardano sono costantemente e irrimediabilmente sospesi tra il dolore e la quiete meditativa, tra una sofferenza vissuta fin dentro le ossa e la limpidezza di una psiche finalmente risolta, dopo cadute abissali e voragini ricomposte, cicatrizzate, disinfettate. L’atmosfera tragica[1], di lacerazione esistenziale, tanto scoperta quanto sofferta, che permea la scena quasi costantemente, rifinisce e definisce icasticamente lo spazio delle sue cornici. Tale senso di spaesamento, tale temporale incombente è impresso negli sguardi dei personaggi valsiani che sembrano costantemente precipitati in una dimensione «transpersonale»: le figure di Valls, per dirla con Zolla, sono uscite dal mondo[2].

A volte, più che la tragicità e la sofferenza, è la malattia vera e propria ad essere il tema precipuo dipinto dall’artista, una malattia che pur apparendo terribile quasi mai dà l’impressione di essere mortale, terminale o semplicemente grave. Nei malati di Valls non incombe la morte, quanto un elemento «vitalistico», teso a guarire, a cercare il filo perso nell’orientamento esistenziale fatto di simboli preziosi.

Se da una parte c’è dunque il dolore, dall’altra c’è però la quiete letta nello sguardo, retta nello sguardo. Tutto fa pensare che quel dolore fisico sia stato causato da un dolore interiore, una ferita profonda provocata dalla perdita di senso, dalla lacerazione dell’inconsistenza del reale di fronte al quale svetta per intensità l’abdicazione dello sguardo. Ma il reale acquista sostanza solo se lo si comprende da dentro, ed ecco che la citazione alchemica del V.I.T.R.I.O.L. («Visita interiora terrae, rectificando invenies occultum lapidem») nello splendido Psicostasia acquista tutto il suo immenso valore.

(...) Il pittore dialoga con l’inconscio, lo fotografa, lo vede, vedendolo lo comprende, pitturandolo lo sublima. Dino Valls, è un’artista che va ben oltre tanti noti figurativi e surrealisti contemporanei, perfino quelli intoccabili, quelli che, probabilmente troppo frettolosamente, si considerano inarrivabili a priori; «Valls è, in termini di talento, almeno dotato quanto Dalì. In termini di cosa ha da dire sul mondo in cui viviamo, è un artista molto più profondo e serio»[3].









[1] Il pittore puntualizza: «Condivido la visiona tragica della vita tipica degli spagnoli, e di due aragonesi come me, Buñuel e Goya». A. TRABACCHINI, cit.
Sgarbi approfondisce: «La tradizione pittorica che tanto lo innamora confluisce nel cinema di Buñuel in una declinazione che non sarebbe possibile altro che in Spagna, in un labirinto di ossessioni e di torture. Al culmine delle quali, per i nostri occhi, prima che per i loro corpi, si può raggiungere l’estasi». V. SGARBI, cit., p. 12.

[2] Cfr. E. ZOLLA, Uscite dal mondo, Adelphi, Milano 2005.


[3] E. LUCIE-SMITH, Dino Valls, cit., p. 49.








In Valls la creazione artistica non si limita alla pittura ma incorpora anche la psiche, investendola. L’intento del presente saggio è quello di mettere in luce le potenzialità di questo processo: come l’arte di Valls si faccia alchimia, quali i confini che travalica questa produzione artistica e come essa, nel suo essere al contempo arte e psicanalisi, possa influenzare lo spettatore inglobandolo inevitabilmente in tale percorso alchemico-psicanalitico-estetico.







Extract from an interview:



Interviewer: "What do you like to do when you aren’t working?"
Dino Valls: "I don’t believe in these moments".

I: "
Anylittle known things about yourself you’d not mind sharing with our readers?"
DV: "I already do: look at my paintings".






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