Lucio Giuliodori

Tutte le lingue della bellezza: Franco Battiato.

 

ABSTRACT:


This short contribution intends to highlight one of the countless aspects of the artistic-cultural production of the eclectic Italian “singer” Franco Battiato:  the use of different foreign languages in the writing of his lyrics.  This paper aims at highlight how this linguistic combination is apt in terms of communication and transmission of meaning, as well as in style and artistic work tout court.

Key words: Franco Battiato, Foreign Languages, Italian Music, Italian culture.

 

 

 

Franco Battiato (Ionia 1945, Milo 1921), è stato tra i più eclettici e geniali personaggi del panorama culturale e artistico italiano: cantante, compositore, poeta, regista, pittore ma soprattutto “filosofo” intendendo questo termine nella sua accezione arcaica, ossia colui che si domanda incessantemente: chi sono, da dove vengo, dove vado e dove andrò. La sua ventennale collaborazione con l’altrettanto geniale filosofo Manlio Sgalambro ha dato vita ad uno dei connubi culturali e artistici più meravigliosi che l’Italia dei nostri tempi ci abbia offerto e a tale proposito, esserne stati testimoni è un onore, un privilegio e un piacere senza fine.

Uno degli innumerevoli aspetti affascinanti della produzione artistica del maestro, è sicuramente l’amore per le lingue e in un’intervista infatti afferma: «Può sembrare strano ma le lingue sono sempre state la mia passione, una passione che supera perfino la musica»[1].

Battiato, fin dagli esordi (ossia dagli anni Settanta) ha sempre cantato in lingue differenti, pur mantenendo ovviamente l’italiano come lingua principale. Oltre alle lingue che lui conosceva, ossia quelle europee (in primis inglese, francese, portoghese e soprattutto tedesco), Battiato ha spesso invitato artisti stranieri a cantare nei suoi pezzi in lingue orientali, pensiamo al giapponese di Le aquile non volano a stormi (2004) o al bengali di Breve invito a rinviare il suicidio (1995).

Stupendo è invece il suo portoghese cantato in Segunda-feira che segue all’altrettanto coinvolgente tedesco di un pezzo precedente dello stesso album (L’imboscata, 1997), ossia ...ein Tag aus dem Leben des kleinen Johannes, magistralmente interpretato dall’altrettanto grandissimo nome del panorama musicale italiano cioè appunto Giovanni Lindo Ferretti il quale con Battiato, oltre al percorso musicale condivide da qualche anno un cammino di introspezione spirituale (seppur molto diverso).
La poesia di Segunda-feira che evoca immagini rarefatte e sognanti delle coste portoghesi è tutta concentrata in quel «Segunda feira de Lisboa, che nome d’incanto, qui da noi è lunedì soltanto»[2].

Il francese è invece magistralmente interpretato, tra l’altro, nel brano Personalità empirica (2001) dove all’inizio Manlio Sgalmbro e poi Natasha Atlas fanno risuonare imperiosa e inequivocabile la filosofia di Gurdjieff testimoniando il cammino iniziatico intrapreso da Battiato alla scuola del maestro armeno. Parte il filosofo italiano con la sua calda, grave e indistinguibile voce: «Il faut abandonner la personalitè pour retrouver votre “je”. Changer dame cheval et chevalier. Changer d’habit baton et penseé»[3]. A precisare ulteriormente dal punto di vista concettuale, oltre che metaforico ci pensa poi Natasha Atlas la quale, con una voce meravigliosa, inequivocabilmente puntualizza: «Quand l’image que tu as de toi ne coincide plus avec ce que tu es réellement. Quand tu commences à hair les automatismes de ta facon d’agir. Et quand les chagrins prennent le pas sur la joie de vivre, avec les peines que nous apportent l’existence et tu vas chercher des espaces inconnus, pour une nouvelle conscience»[4].

Citare l’inglese invece è impresa ardua in quanto nella sconfinata produzione del maestro questa è forse la sua lingua più usata, soprattutto negli album degli anni Ottanta e Novanta, penso a La voce del Padrone, Mondi lontanissimi, Orizzonti perduti ecc.

Tuttavia credo che una menzione particolare la meriti I’m that tratta da Dieci stratagemmi (2004), brano cantato per altro con Cristina Scabbia (altra azzeccatissima e geniale collaborazione). Battiato, che nel titolo cita il maestro indiano Sri Nisargadatta Maharaj, Io sono quello[5], con l’intento di rimarcare l’indissolubile unione di umano e divino, proprio all’inizio del brano sentenzia: «I’m not for the hammer, neith for the sickle and even less for the tricolor flame, because I’m a musician»[6]. In queste poche e inequivocabili parole, l’artista siciliano mette le cose in chiaro riguardo alla “linea orizzontale” (per citare un altro suo brano, ossia Inners Auge, 2009) che lui bypassa nettamente a favore di quella “verticale”, riassunta tutta nell’incisività del titolo: I’m that, appunto. Va da sé che un’unione di sì cosmica portata, spazza via sul nascere le grigie controversie dell’immanente - «stupide galline che si azzuffano per niente»[7], verrebbe da dire.

Veniamo ora al tedesco. “La lingua della filosofia” è stata una delle sue lingue più amate ovviamente e anche qui scegliere diventa davvero complicato (Gestillte Sehnsucht, Schmerzen, Beim Schlafengehen, Alexander Platz, Bist du bei mir, Il potere del canto ecc.), in ogni modo, di primo acchito, l’attenzione non può che andare all’Ombrello e la macchina da cucire, forse davvero in assoluto il più bell’album di Franco Battiato, per lo meno il più filosofico ed elitario, quello a cui diventa difficile avvicinarsi senza possedere una conforme sensibilità (il riferimento è qui ad Andrea Scanzi che lo ha definito invece il suo album più brutto[8] dimostrando di non essere in grado di avvicinarsi all’universo Battiato se non per scalare le classifiche della Feltrinelli, appunto).

Ebbene, tra i vari brani di questo incredibile “album” che come afferma Zingales «ci si sente in imbarazzo a chiamarli “canzoni”»[9], L’esistenza di Dio sicuramente svetta per incisività sul piano concettuale e più specificatamene filosofico tout court: dopo la splendida metafora dell’operazione chirurgico-teologica, seguono cinque interminabili e meravigliosi minuti nei quali una voce femminile calda e suadente cita un passo tratto da Il trattato dell’empietà di Manlio Sgalambro[10].

In quel brano la lingua tedesca sigilla e coagula poesia e filosofia in un modo sconfinatamente coinvolgente per l’ascoltatore, il brano praticamente si trasforma in meditazione.
Creatore di tale fusione alchemica è appunto l’alchimista Battiato che dall’iperuranio della sua ispirazione ha creato e trascinato nell’al di qua, una purezza così abissale.

Le lingue dunque, nella produzione artistica e musicale battiatiana, hanno la funzione di coagulare, sigillare e incorniciare quelle produzioni tipiche che solo il maestro fu in grado di generare: connubi di poesia, filosofia e musica, tutto in un corpo solo. Le lingue impreziosiscono questo corpo di luce, questa entità, attraverso un atto di natura metafisica. D’altronde tale è la natura dell’ispirazione stessa per il maestro: «Ho capito col tempo che l’ispirazione è soprasensibile. È successo anche per La cura. “Senti” che qualcosa di superiore ti arriva, ti attraversa»[11].  E ancora, in un’altra intervista: «È qualcosa che ti arriva. Tu, in questo caso, sei solo un mezzo di comunicazione tra due mondi»[12].

La musica in Battiato trascende incessantemente sé medesima e lo fa anche grazie ai differenti linguaggi che egli usa per favorirla in tale trasmutazione, le lingue sono qui canali attraverso i quali egli ne distilla ancora maggiormente la sua già metafisica natura: se per Cioran nella musica vi aleggiava il soffio dell’aldilà, in Battiato quel soffio è diventato tempesta, tempesta di bellezza.

 

Lucio Giuliodori


 

 


NOTE:



[1] F. Battiato-F. Pulcini, Tecnica mista su tappeto. Conversazioni autobiografiche con Franco Pulcini, EDT, Torino 1992 cit., p. 37.

[2] F. Battiato, Segunda-feira in L’Imboscata, Polygram 1996.

[3] F. Battiato, Ferro battuto, Sony 2001.

[4] Ibidem.

[5] Cfr. Sri Nisargadatta Maharaj, Io sono quello. Conversazioni con il maestro, Astrolabio, Roma 2001.

[6] F. Battiato, Dieci stratagemmi, Sony 2004.

[7] F. Battiato, Bandiera bianca in La voce del padrone, Emy 1981.

[8] Parole pronunciate dal giornalista al teatro Lyrick di Assisi il 17 marzo del 2022 durante il suo scialbo spettacolo E ti vengo a cercare, a cui ho avuto il dispiacere di assistere.

[9] «In tale disco, per la prima volta, tutti e nove i testi dei brani - ci si sente in imbarazzo a chiamarli “canzoni” – sono stati scritti da altri, precisamente dall’infaticabile coscienza critica del collasso dei valori filosofici e spirituali del pensiero del nostro secolo che è Manlio Sgalambro». M. Macale, Franco Battiato. Una vita in diagonale, Bastogi, Foggia 1994, pag. 140.

[10] Cfr. M. Sgalambro, Trattato dell’empietà, Adelphi, Milano 1987.

[11] F. Battiato, Io chi sono? Dialoghi sulla musica e sullo spirito con Daniele Bossari, Mondadori, Milano 2009, p. 32.

[12] F. Battiato, Tecnica mista su tappeto. Conversazioni autobiografiche con Franco Pulcini, op. cit., p. 113.