Paramahansa Yogananda: Autobiografia di uno Yogi

Lucio Giuliodori

Tradotto in ben 12 lingue, Autobiografia di uno Yogi, è uno di quei testi, da cui un appassionato di esoterismo non può prescindere. Una vita stra-ordinaria, ardentemente vissuta all’insegna dell’introspezione, della conoscenza metafisica, della scienza iniziatica, della soglia segreta che dal limite prorompe possente dentro l’illimite scoprendone il valore, accreditandone l’esistenza, l’incredibile e meravigliosa evidenza.

E’ quasi inconcepibile per noi occidentali, vissuti a pane e videogiochi, leggere la storia di un bambino che scappa di casa, martellato dal desiderio impellente di andare sull’Hymalaia a meditare per unirsi all’essere.

Se comincia in modo impensabile, questa storia finisce in maniera ancora più assurda, e sì perché il corpo del grande Yogi, anche dopo “morto” non ne voleva proprio sapere di decomporsi… Dopo due settimane di incredulità mondiale, piombarono in India gli inviati del Times per documentare i fatti.

La potenza fisica dei grandi Iniziati, abituati a scavalcare costantemente i limiti fenomenici, è tale anche da sfidare la morte stessa, la quale al loro cospetto, perde quel significato nefasto che avvolge e spesso impaurisce l’uomo comune, il quale la teme perché non sa cos’è (la più grande paura è quella dell’ignoto).

Per quanto riguarda Maestri del calibro di Yogananda  è dunque quasi "scorretto" parlare di morte, in questi casi si tratta veramente di abbandono consapevole del corpo fisico. D'altronde come diceva anche il suo indimenticato Maestro Sri Yukteswar: «Le medicine hanno un limite, la divina forza vitale non ne ha».

Dio, o come lo chiama stupendamente Yogananda, il “Sognatore Cosmico Creativo”, non è così lontano dall’uomo, come invece accade in altre religioni. La saggezza indiana, squarciando il velo di maya, rompe il dualismo che separa il microcosmo dal macrocosmo, tipico della cultura occidentale, recuperando così quella superumanità congenita che rende normali tutti quegli atti che dalle nostre parti chiamano “miracoli”. Il vero diavolo infatti è proprio “ciò che divide”, per l’esattezza ciò che divide l’uomo nella la sua integrità metafisica, fonte di una natura ancora tutta da scoprire nella sua realtà magica.

Il diavolo è l’ego ma l’ego è dentro l’uomo, non fuori. Le paure e i limiti stanno dentro. Tutto sta dentro, proprio perché, come insegna Yogananda,  “siamo infiniti”. Dio stesso sta dentro, da cui il famoso concetto indiano dell’uomo-dio. Il Samadhi stesso, conseguenza della pratica del Krya Yoga, non è che «uno stato supercosciente di estasi, in cui lo yogi percepisce l’identità tra l’anima individuale e lo Spirito Cosmico». Del resto la stessa parola "yoga", significa proprio unione, tra ciò che è umano e ciò che è divino ovviamente.

In ogni modo, al di là di ovvie considerazioni filosofiche, quello che colpisce leggendo il testo, sono gli incredibili incontri con uomini straordinari: i vari Swami Pranabanda - il santo dai due corpi, Nagendra Nath Bhaduri - il santo della levitazione, il Maestro Mahasaya - il devoto estatico e ovviamente l’amatissimo Sri Yukteswar - l’incarnazione di saggezza, sono dei veri e propri Esseri Superiori capaci di vibrare ad un altro livello di Realtà, pur rimanendo “quaggiù”. Più che fenomeni, Noumeni della natura. Esempi di eccezionalità vivente, incarnata, possibile e visibile nella sua assurdità assordante, nella sua evidenza allarmante. «Lahiri Mahasaya poteva materializzare o disgregare o mutare in qualsiasi modo, gli atomi di sogno del mondo dei fenomeni», e questo grazie alla forza del pensiero, reso incredibilmente potente dal Krya Yoga: «il pensiero è una forza, proprio come l’elettricità e la gravitazione. (…) Potrei provarti che qualsiasi cosa la tua mente potente credesse con grande intensità, si avvererebbe all’istante».

Tutti possono compiere “miracoli”, la magia fa parte dell’essere, basti pensare ad Afzal un fachiro “non molto sviluppato spiritualmente”, il quale pur tuttavia era in grado di fare cose assurde: «la padronanza di una certa tecnica yoga gli dava accesso a un piano astrale dove qualsiasi desiderio viene immediatamente materializzato. Con l’aiuto di una creatura astrale, Hazrat, il Maomettano riusciva a radunare gli atomi di qualsiasi oggetto dall’energia eterica, con un fortissimo sforzo di volontà». Purtuttavia, per Sri Yukteswar, Afzal era solo “un uomo qualunque”, munito però «di uno straordinario potere che lo metteva in grado di penetrare in un reame sottilissimo, in cui solitamente gli esseri umani non entrano prima del trapasso».

Significative a questo proposito, le parole dell’amico Dijen: «tutto quello che mi hai detto sui poteri del nostro Guru mi fa sentire che qualsiasi Università del mondo non è altro che un asilo infantile». Ha ragione Dijen, ai tempi giovane studente di filosofia all’Università di Serampore insieme a Yogananda, gli insegnamenti tradizionali sono profondamente lontani dalla vera realtà delle cose, scopribile invece grazie a scienze millenarie, rimaste sempre in mano a pochissimi uomini coraggiosi.

Anche la parola, il suono e più in generale la musica è in grado di modificare il reale, in quanto pregna di valore magico, basti pensare al potere dei mantra. Anzi, basti sperimentare il potere dei mantra. Yogananda a tale proposito fa risalire ai Rishi i primi esperimenti: «furono gli antichi rishi a scoprire le leggi di questi rapporti tra la natura e l’uomo attraverso il suono. Poiché la natura è un’oggettivazione di Om, il Suono Primordiale o Parola Vibratoria, l’uomo può ottenere il controllo su tutte le manifestazioni naturali attraverso l’uso di alcuni mantram o cantici». (Daltronde basti dare un'occhiata all'etimologia della parola "incantesimo" per trovarvi proprio il "cantare"). Lo stesso Yogananda asserisce: "L'infinita potenzialità del suono deriva dal Verbo Creativo Aum (Om Amen), il cosmico potere vibratorio che sta dietro tutte le energie atomiche. Qualsiasi parola pronunciata con chiara consapevolezza e profonda concentrazione ha un valore materializzante. [...] Il segreto risiede nell'elevazione del ritmo vibratorio della mente".

Una volta risvegliato l'uomo dunque si risvegliano anche i poteri i quali sono determinanti anche sull'irrealtà esteriore: «Quanto più è profonda l’autorealizzazione di un uomo, tanto più egli influisce su tutto l’universo mediante le sue sottili vibrazioni spirituali, e tanto meno subisce egli stesso l’influenza del flusso fenomenico». Il karma infatti esiste solo per essere sconfitto.

Il Risveglio dunque implica che l’esterno è un riflesso, una proiezione dell’interno: l’esterno è un’illusione, modificabile in qualsiasi momento. «Avere il controllo dell’universo appare cosa sovrannaturale ma in verità tale potere è inerente e naturale in ogni uomo che abbia risvegliato la giusta memoria della sua origine divina». «Uno Yoghi molto progredito tramuta le sue cellule in pura energia. Elia, Gesù, Kabir e altri profeti antichi furono maestri nell’usare il Krya o una tecnica simile, mediante la quale riuscivano a smaterializzare i loro corpi a volontà».

Nel capitolo "La legge dei miracoli", Yogananda fa tutta una disamina sul rapporto scienza-misticismo, in cui Einstein va a delinearsi come ciò che “spiega” il misticismo e quest'ultimo ciò che corrobora Einstein. Il perno del discorso ruota attorno alla velocità della luce, che come si sa, non può essere raggiunta da nessun corpo, poiché la materia, costretta tra le leggi di spazio e tempo, non ha la “libertà” necessaria per uscire dalla sua ragion d’essere. Ma se noi avessimo un corpo la cui massa fosse infinita?...

«I Maestri che sanno materializzare e smaterializzare i loro corpi o qualsiasi altro oggetto, muoversi con la velocità della luce, e utilizzare i raggi di luce creativa per portare alla vista istantaneamente qualsiasi manifestazione fisica, hanno raggiunto la condizione inderogabile posta da Einstein: la loro massa è infinita». In sostanza «colui che conosce se stesso come lo Spirito Onnipresente, non è più soggetto alle costrizioni di un corpo nel tempo e nello spazio. Il suo impenetrabile carcere si è arreso ed è svanito di fronte all’ ”Io sono Lui”». In sanscrito “tattwam asi”, in inglese “I’m that”, come recita il titolo di una canzone di Battiato.

Yogananda sottolinea che «la legge dei miracoli può essere resa operante da qualsiasi uomo che abbia raggiunto la consapevolezza che l’essenza della creazione è luce. Mediante la divina conoscenza dei fenomeni della luce, un Maestro può istantaneamente proiettare in manifestazioni percettibili gli atomi di luce presenti ovunque». A questo proposito, il celebre yogi, fa l’esempio del sogno, ambito in cui possiamo esperire una nostra riorganizzazione degli atomi-luce a nostro piacimento. La differenza è che i grandi Maestri riescono a fare nel mondo della veglia ciò che l’uomo comune può fare nei sogni (per altro nemmeno sempre ma solo quando è consapevole di stare sognando).

Quando il Maestro indiano parla della realtà in termini di “pellicola cinematografica” e di “immagini che sembrano reali”, non si può non notare un’assonanza  con la teoria di Bhom sull’universo come ologramma - e, più in generale, con la stessa fisica quantistica.

Per quanto illusori quanto la realtà di veglia però, i sogni sono ambiti in cui possono anche accadere cose reali. Lahiri Mahasaya infatti, scelse proprio il luogo del sogno per dare l’iniziazione a Bhupendra.


In conclusione, dopo il confronto con innumerevoli esperienze al di là dell’inimmaginabile e al di là del dicibile, quello che emerge dallo studio del testo, è l’assoluto primato della riprova pratica sulla parola, dell’esperienza sulla teoria: «contrariamente alle filosofie occidentali, tutti i sei sistemi indù, contengono insegnamenti non solo teorici ma anche pratici. (…) Attraverso la pratica delle tecniche yoga, l’uomo lascia per sempre dietro di sé gli sterili campi della speculazione e perviene a conoscere per esperienza diretta, la vera Essenza». Un’essenza infinita, più potente del buio, più veloce della luce.


Lucio Giuliodori