Musica delle Sfere, musica dentro

Lucio Giuliodori

Scrive Plotino nelle Enneadi (VI, 9, IV): "Il magistero non va oltre questo limite, di additare cioè la via e il viaggio, ma la visione è già tutta un'opera personale di colui che ha voluto contemplare". In tal senso Lucio Giuliodori si rapporta all'arte pittorica lasciando emergere i temi della sinfonia, collegandoli a richiami culturali ed evocate memorie con percezione dipendente dalla fantasia, che ne accompagna le energie, come l'uragano persegue colui che naviga sul mare.

Giuliodori infatti riesce a compenetrare la pittura, sia nella sua frammentarietà fenomenica e sensibile secondo una progressiva appropriazione dell'intuizione noetica dalla quale sa trarre il debito profitto, fino a pervenire all'ascolto di ritmi elevati e di percezione di immagini che il "sottile" propone nella sua infinita, libera e creativa manifestazione: un'occasione preziosa per adire, fors'anche all'infinitesimo del tanto logico, quanto contraddittorio duplice volto del reale.

Ed è così che in solitaria alchimia da epigono orfico, Lucio Giuliodori sa trasmutare la sua stessa vita in poesia come essenza spirituale, percorrendo, attraverso la cultura della pittura, un cammino che traccia in lui quel sentiero di Mystes che diviene Epoptes (cioè colui che contempla) che dai mysteria conduce agli "anakalypteria" secondo uno svelamento progressivo di un segreto del tutto individuale. Impossibile, quindi, non essere affascinati dalla sua nuova raccolta Musica dentro, dove mossi fondali attraversati da sprazzi di luce, folgoranti ed opachi al contempo, ma anche da immagini improvvise che, con la loro fragorosa e silente presenza ci rimandano ad ungarettiani echi "d'innanzi nascita" quindi fuori del tempo e nel tempo, verso un'origine ed un approdo misteriosi, ma anche ad una stagione "inedita" ancora da vivere, danno origine ad una parola poetica, carica di una paradossale vitalità, capace di esporre sia il chiarore della fine e della negazione, come la luce che rigenera, poiché capace di penetrare nelle regioni più ascose ed intime dell'anima, fino all'indicibile sogno, che diviene poi, sangue e sostanza stessa di questa bella poesia, come enuncia simbolicamente il verso: "...Non sono l'azzurro. Ne sono l'Oltre..."("Il custode del Corpo Celeste"). 

La raccolta si divide in due capitoli, intitolati rispettivamente: "Suono", le cui poesie sono tutte ispirate alle omonime opere del pittore Giorgio Dalla Costa, e "Silenzio"; due titoli che sono certamente un ossimoro, ma soprattutto un "mantra" che viene da lontano e può offrire una visuale, a pienezza vissuta, secondo un'esperienza del poetico nel senso più lato, come diapason di emozioni creative e una "wanderung" che è allo stesso tempo passeggiata ed erranza, gioia e dolore, come si evince da versi che recitano: "...Vorrei ridere,/ ma piango ancora una volta,/ mentre le verità si fondono e si confondono,/ nel piacere di guardare ancora in alto." ("La tomba di Dio"), dove la tensione è tutta rivolta a quel qualcosa che sta al di là e si crede morto. 

Per quello che riguarda il silenzio che si antepone al suono, c'è da dire che esso è segno e simbolo del silenzio esteriore, mentre i versi che liberi fluiscono, sono rivolti alla ricerca interiore ed alla meditazione, in modo istintuale, emozionale e mentale, secondo un intelletto che, stimolato dalla creazione pittorica e non, vive già il preludio del manifestarsi di una rivelazione interiore. Un silenzio, quindi, di interludio tra movimenti e momenti creativi, come sono quelli del portare, dove è possibile trovare ancora, al di là di ogni posizione fideista e dogmatica, la via che conduce alla reintegrazione totale, quale ritorno all'unità dello spirito. Come ben si può ancora evincere da "Certezza" che testualmente recita: "Sento il silenzio del mio corpo./ Sento pulsare il mio Spirito./ Mi guardo da vicino: sono parte di Dio./ Sono Dio.", nella quale è avvertita tutta l'identità con il mistero, pur in uno sperato panteistico "Oltre" che conferisce peso e pathos di testimonianza ai pressanti dubbi altrove espressi.

Due sezioni, comunque, legate dal "fil rouge" degli accenti esistenziali, innestati nella capacità di ascolto della musica dentro e fuori, e della pittura nelle quali, alla fine, è custodita la stessa voce poetica, la storia di un uomo di raffinata cultura che sente: "Tutto ciò che è fuori,/ non è altro che uno specchio. Che ci guarda Dentro./ Noi. Siamo vibrazioni interne. Siamo Musica Dentro." ("Musica Dentro"). Poesia, nell'insieme, dalla forza plastica che la informa tutta, questa della nuova raccolta di Lucio Giuliodori, con forgiatura linguistica sintetica e libera, veramente inventiva, ricca di ritmo, dal balenante emergere di molteplici contenuti, sempre sospesa tra storia e cosmo, spazi umani ed interiori, brama di metafisica e sogno di voli altri e paralleli, che pur chiude con un inno illuminista dal titolo "Noi e la Conoscenza". 

Un ricercatore instancabile il giovane poeta che, secondo la mistica dantesca, sa inviare presagi di realtà interiori quali "umbriferi prefazi" come ebbe a dire il Maestro, che sono, alla fine, "Varchi", o "Barlumi" di montaliana memoria, con aperture insospettate o fugaci come "Merde d'artista" che riesce a salvare da ogni volgarità, alle quali contrappone la lucidità razionale, volteriana ed illuminista della poesia di chiusura, nella quale lo spazio e la visione si allargano e si distendono quasi che la nettezza delle linee e dei suoni obbedienti alla ragione e alla libertà di coscienza custodiscono la voce e la storia del poeta che, dopo essersi aggirato tra sponde e luoghi luminosi, sceglie la strada luminosa della conoscenza che è: "...sperimentazione personale... coraggio... non conosce la paura... è un atto individuale. Un atto d'amore... preferisce la solitudine... ama il Chaos... è verifica... è indicibile... preferisce la responsabilità... è nelle nostre mani... e non in quelle del Signore..." poiché altrimenti conclude il poeta: "Se fossimo nelle mani del Signore, che senso avrebbe la Conoscenza? Che senso avrebbe il mondo? Che senso avremmo noi stessi?" ("Noi e la Conoscenza").

Il tutto espresso secondo una sacralità, comunque umana, della poesia, caratterizzata da poesia-filosofia che della musica è concorde sorella, ribollente di un vitale coacervo antropologico, certamente tipico di un poeta ancor molto giovane, come è il professor Lucio Giuliodori, che secondo noi ha ancora molte cose da dire e altrettante frecce al proprio arco, quale uomo pensante cioè "Manu" o figlio della Mente Universale, portatore di "amore puro" che non è soltanto una fioritura del cuore umano, ma ha le sue radici nell'eternità.

Lia Bronzi