Nulla sapevo, sono entrato,
ed ho veduto le cose segrete.
Papiro di Nu,
Canto 116.
Nikolaj Roerich
La Filosofia Iniziatica
Lucio Giuliodori
«Osare, volere, tacere» è un celebre motto alchemico che fa riflettere sul senso della sfida che si è chiamati a intraprendere in relazione al cosiddetto «lavoro su di sé» e non è casuale del resto che a proposito di certi percorsi iniziatici si parli proprio di «Via del Guerriero». Innanzitutto il coraggio, il grande coraggio di spingersi oltre l’ignoto (il non ancora noto) sfidando così una delle più grandi paure dell’essere umano, poi la volontà tetragona di riuscire davvero a conoscere (integralmente e non solo intellettualmente) e infine… il Silenzio. Perché il silenzio? Perché questo tipo di conoscenza non è dicibile, non è più raccontabile. Di qui la sua secolare segregazione ma allo stesso tempo il suo estremo fascino. Filosofia iniziatica: «amore per il sapere non dicibile». Si rimembri il celebre monito del barcaiolo a Siddharta: «Un dotto può trasmettere agli altri la propria scienza, ma un saggio non può fare la stessa cosa con la propria saggezza. Essa va vissuta in prima persona».
L’oggetto della scienza (come anche della filosofia comunemente intesa) è la verità comunicabile e dimostrabile, la religione si occupa invece di una verità comunicabile ma non dimostrabile, la filosofia iniziatica ha a che fare infine con una verità non dimostrabile[1] e non comunicabile: un compito assai arduo, folle, quasi impossibile. Così fosse infatti senza l’apporto della categoria dell’«esperienza» cioè della sperimentazione personale, che agisce da matrice operativa nel milieu di tali «filosofie» poste sempre, nel corso della storia, in un perpetuo dialeghestai caratterizzante e fondante.
Si tratta di esperire verità segrete che hanno da sempre viaggiato nel corso della storia, dai tempi di Bruno (e finanche molto prima) ad oggi, ed è proprio l’esperienza che «espone tali verità in evidenza» come direbbe Zolla: sono verità relative a differenti contesti storici e a differenti tradizioni filosofiche, mistiche e iniziatiche che però sono incessantemente risuonate all’unisono nel silenzio che le divideva, insensibili alle distanze spaziotemporali.
Un silenzio riversatosi anche all’interno, generatore di pace e al contempo di potere, un vuoto mentale da cui tutto, demiurgicamente, prende forma: «Quando la mente è imperturbata il mondo è il mio mondo. Non c’è né giusto né sbagliato, né preferenze né avversioni, né l’attaccamento ai fenomeni. Quanto è compreso tra dolore e piacere o perdita e profitto è creato dalla mia mente. E sebbene diciamo che il cielo e la terra siano immensi, non c’è nulla da cercare fuori della nostra mente». E ancora: «E’ la natura del principio che quando la forma cambia, la mente e il ki cambiano con essa. Il principio è senza forma, ma esiste nel ki»[2]. Sono le parole del Samurai giapponese Issai Chozanshi del feudo di Sekiyado, vissuto tra il XVII e il XVIII secolo.
Questo tipo di consapevolezza non è però rimasta in Giappone… La stessa esatta concezione del mondo è possibile riscontrarla in un testo di alchimia o in un’opera di Bruno, così come nel Taoismo o nell’Induismo. La stessa identica idea di un mondo fenomenico costruito nella mente risuona in alcuni assunti fondamentali della fisica dei quanti la quale oggi ne rappresenta un’eco[3] tanto sconvolgente quanto rivoluzionaria: tale sincretismo è determinante poiché è proprio esso che avvalora le filosofie iniziatiche..
Il sincretismo e la continuità sono paradigmi precipui di tali filosofie: «Sono perfettamente sovrapponibili il bramino praticante e il maestro platonico»[4], come affermava Zolla.
Le convergenze tra autori e metafisiche differenti costituiscono e caratterizzano ciò che prende il nome di «Tradizione», ossia l’insieme delle filosofie esoteriche, iniziatiche o «perenni»[5], inabissate su di un ritorno ciclico delle stesse verità che rimanevano celate per il volgo ma non per l’iniziato che le cercava, le trovava e infine le incarnava. Egli attraverso l’ alchimia di tali differenti tradizioni sapienziali adempieva un percorso che innanzitutto vede, in interiore homine, un fondamento divino da espletare ai fini di un miglioramento, un’evoluzione incessante di sé. Tale percorso si è sempre scontrato con i vari contesti storico-sociali: dal potere intollerante, violento e inquisitorio della Chiesa ai tempi di Bruno alla società materialista del mondo moderno che ha dato vita a un unico modello di spiegazione del reale: quello positivista-meccanicista.
Gli iniziati, gli esoteristi hanno sempre dovuto trascendere il loro specifico Zeitgeist, con un atto di grande sforzo, Evola diceva che dovevano alzarsi dalle vere e proprie «rovine»[6] nelle quali erano (siamo) immersi, tanto drammatica era (è) la situazione, un terremoto che ha raso al suolo le fibre nuomenali dell’essere.
E’ il cammino del Risveglio (risveglio dal sogno che le visioni del mondo dogmatiche e materialiste chiamano realtà), del ricostruire il mondo a partire da se stessi. Il mondo che esiste fuori infatti, per le filosofie esoteriche ed iniziatiche, non è altro che il riflesso del “castello interiore”, ambula ab intra come evoca il V.I.T.R.I.O.L.[7], in quanto solo lì è ubicata la «pietra filosofale» che può trasmutare il Tutto in quanto «Tutto è Uno»:
«Dalla trasmutazione dell’interiorità umana tutto dipende? Dall’ordine dentro di me dipende quello del mondo attorno a me? Se io divento pura e infinita luce, la materia attorno a me sarà del pari trasmutata: dal mio carattere dipende il mio destino, dal mio cuore il mio ambiente. I miei peccati sono lo spessore e l’asperità del reale. Ardua, esoterica verità!»[8].
Note:
[1] Per lo meno tramite il modello meccanicista: la ragione calcolante non può che abdicare di fronte ad una lettura esoterica del reale che di fatto lo capovolge (si rimembri Zolla: «Esotericamente tutto fila: complemento oggetto e soggetto si ribaltano l’uno nell’altro»). Tuttavia «non dimostrabile» non significa «non sperimentabile», Fernando Picchi nella sua presentazione a un celebre testo di Kremmerz dichiara: «Un aspetto peculiare della scienza, come la si intende oggi, è lo sperimentalismo, ma se vogliamo definire scienza tutto ciò che si realizza attraverso la sperimentazione, non vedo perché si debba escludere dalla scienza l’esoterismo, quando esso è studiato e trattato con metodo sperimentale, come mi risulta che fanno le varie Accademie Kremmerziane in Europa. Forse, l’unico motivo di tale esclusione potrebbe essere quello che ha spinto la scienza ufficiale (ecco che abbiamo di nuovo bisogno di un aggettivo qualificativo) a negare per tanti secoli l’esistenza dello spirito o di un qualcosa di imponderabile che sfugge ai suoi strumenti di misurazione e ai suoi metodi di indagine e che l’esoterismo, invece, pone alla base di tutte le sue ricerche». F. PICCHI, Presentazione a G. KREMMERZ, Introduzione alla scienza ermetica, Mediterranee, Roma 2000, pp.7-8.
[2] Bushido, La Via del Guerriero, a cura di M. Pantareo e T. Pecunia, Feltrinelli, Milano 2013, p. 136,7.
[3] A tale proposito rimando al mio lavoro Tra fisica e metafisica. Alcune implicazioni filosofiche della meccanica quantistica, CS Publishing, Seattle 2014.
[4] E. ZOLLA, Lo stupore infantile, Adelphi, Milano 1994, p. 37
[5] «Huius operis autem duplex erit ratio ut quoniam ostensum est unam necessario semper fuisse sapientiam sive successione traditam sive coniecturis et indiciis excerptam, utramque revocare et conferre cum vera; propterea Conformationes aut de perenni Philosophia sunt appellatae». A. STEUCO, De perenni philosophia, III, 2 f.
[6] Cfr. J. EVOLA, Gli uomini e le rovine, Mediterranee, Roma 1953.
[7] «Visita interiora terrae, rectificando invenies occultum lapidem».
[8] E. ZOLLA, Le meraviglie della natura. Introduzione all’alchimia, Marsilio, Venezia 1991, p. 387. «Ma chi riflette comprende che l’Assoluto si scopre nell’interiorità e lo smarrisce chi lo cerchi nel mondo esteriore». L’esito del processo, precisa Zolla è «la comunione con il proprio sé più intimo, che coincide con la verità suprema, e che la ragione non può afferrare, perché gioca soltanto con opposti e contrari, allestendo contrapposizioni dispiegate nel tempo e nello spazio». E. ZOLLA, Le tre vie (1995), Adelphi Milano 2002, p. 51.