Lucio Giuliodori

La vita è sogno

Sogno dunque sono è l’espressione di uno sguardo poetico che scruta e investe la meschinità della routine quotidiana e la mediocrità del cosiddetto “buon senso”. Il giovane scrittore perugino, con feconda immaginazione creativa, dà vita ad una serie di racconti che costituiscono l’antidoto alla solennità, alla pedanteria e all’oggettività stereotipata del senso comune di matrice borghese.

Un vigoroso processo di contatto, immediato e vivido, con il contenuto intuibile delle cose, prende forma nelle sue ironiche e corrosive “vignette” di stampo surrealista. Di fronte alla costruzione kantiana della realtà, guadagnano vigenza filosofica lo stupore e l’ebbrezza con cui il noumenologo descrive la propria percezione del reale, conferendo concretezza espressiva a tutto ciò che non è esperibile e conoscibile in sé. Riscoprendo la meraviglia e la ricchezza della realtà, l’autore propone un abbandono spirituale, ingenuo ed amoroso, al mondo oggettivo, con la ferma fiducia che lo spirito umano possa apprendere l’essenza delle cose.

Non si tratta, perciò, di un attacco frontale al razionalismo cartesiano, ma piuttosto di un cammino onirico intrapreso parallelamente a quello fenomenico. Rifacendosi alla visione calderoniana de La vida es sueño, Giuliodori sembra non ritenere il sogno uno stato di incoscienza scaturito dal sonno fisiologico, altrimenti la condizione dell’uomo coinciderebbe con un vero e proprio stato di letargia dell’essere. Sognare e vivere coincidono, quando l’uomo voglia forgiare il proprio mondo e credere in esso.

La componente filosofica ricopre allora un ruolo decisivo e l’azione viene spesso subordinata al pensiero. I personaggi - appena abbozzati nella maggior parte dei casi - sono meri simboli che incarnano concetti astratti e “assurdi”, e proprio sull’assurdo si fonda il delirante intreccio dei testi.

Lucio Giuliodori, versatile penna perugina, auspica una forma di vita più libera, più comunitaria e spontanea, un quadro sociale più umano e schietto, nella speranza che il “nuovo uomo” scheleriano prenda presto il sopravvento sulla mediocrità borghese legata ad un cinico pragmatismo, ad un conformismo dozzinale e ad una faciloneria espressiva paremiologica.

Così facendo inverte la tesi cardine dell’antropologia cosmopolita e razionalista, secondo cui la ragione apparterrebbe alla sfera umana e renderebbe ogni uomo affine al proprio simile. È evidente come la filosofia giuliodoriana si regga su principi totalmente antitetici ai suddetti, in quanto la componente più umana delle sfuggenti ombre che popolano l’enigmatico mondo di Sogno dunque sono sia quella irrazionale, onirica e folle su cui - per nostra fortuna - radica l’esistenza terrestre.

Questa sorta di elogio alla follia, di chiara matrice erasmiana, è il frutto più genuino del XX secolo, il prodotto di una società più umana rispetto a quella rigidamente borghese del XIX, in cui la realtà logica doveva necessariamente riflettere la concordanza dell’intelletto con le cose.

Sogno dunque sono è, perciò, un testo orientato verso l’indagine più intima e rivelatrice di un “io” angosciato, diretta conseguenza della moderna investigazione psicologica e di correnti filosofiche, quali l’esistenzialismo, che ebbero come scopo analizzare l’essere umano deambulante nel theatrum mundi delle moderne Babilonie. E sulla scia di James Joyce, Franz Kafka, William Faulkner, Virginia Woolf, Marcel Proust, il piano formale adotta il ricorso di uno squilibrato flusso di coscienza.

Il linguaggio di Giuliodori - impulsivo, innovativo e variegato - identifica l’élan vital bergsoniano, capace di cogliere l’essenza della realtà attraverso gli istinti dionisiaci negati dalla morale borghese, di esprimere l’irrazionale della natura umana e di sprofondare nel mistero dell’ignoto. La ragione è ripudiata non in nome del sentimento, ma dello scatenarsi di forze oscure provenienti dal subconscio. La parola, perciò, non è usata come elemento organico e coerente di un discorso logico, ma per suscitare al lettore un’impressione intima, evocativa e suggestiva.

L’espressione giuliodoriana contrasta il vuoto di significato del linguaggio romanzesco convenzionale, dimostrando l’effetto devastatore per la creatività individuale che si ottiene da una lingua stereotipata, basata su frasi idiomatiche o clichè. Di qui la proliferazione di espressioni originali che, nel violare criteri prestabiliti, vanno a costituire un’eccellente prosa poetica. La rottura con la sintassi tradizionale è assai frequente e, sulle orme di Luis Harss, anche Lucio Giuliodori - svegliatosi di soprassalto in seguito ad uno dei suoi inquietanti sogni - si sarà domandato: “Come auspicare ad una qualsiasi trasformazione se continuiamo ad utilizzare lo stesso linguaggio di Platone?”

Di qui la presa di distanza dal racconto tradizionale, l’ambiguità degli intrecci, l’inconsistenza dei personaggi-fantasmi, i finali elusivi, il linguaggio equivoco e multiforme, il senso ludico dell’arte della scrittura, dell’arte per l’arte; di qui l’ossessiva ricerca di pienezza attraverso intangibili percezioni di carattere metafisico.

A Lucio Giuliodori, in definitiva, solo interessano le sensazioni che hanno luogo nel sogno e il piano formale, indefinito e farneticante, rispecchia l’aspetto concettuale dei suoi racconti, quali che fossero una risposta all’invocazione lanciata da Bretòn nel primo manifesto surrealista: “Quando arriverà, signori della logica, l’ora dei filosofi dormienti?”

Privilegiando il discontinuo, il marginale e l’ironia come forma di protesta nei confronti delle convenzioni accademiche, Lucio Giuliodori palesa tutta la sua attrazione per il genere narrativo - esploso intorno agli anni ’70 - del micro-racconto. Secondo Lyotard le narrative che si arrogavano presunte autorità hanno perso legittimità nell’epoca contemporanea; al loro posto vanno affermandosi i micro-racconti, quei giochi linguistici senza alcuna pretesa d’autorità.

E i micro-racconti del pensatore perugino non possono, di certo, sottostare a regole prestabilite dalla logica comune o essere giudicati secondo principi determinati. La discontinuità come elemento di distacco e la rottura con il criterio d’unità, la “decostruzione” narrativa e il dissolvimento o frammentazione del soggetto tradizionale, costituiscono il fondamento su cui si regge l’impalpabile digressione di uno stravagante narratore omodiegetico.

Autentico figlio della Postmodernità e in aderenza al movimento Neofantastico, Lucio Giuliodori parte da situazioni comuni per introdurre progressivamente i protagonisti dei suoi racconti in mondi fittizi che riflettono la fatiscenza delle barriere separatorie fra sogno e realtà. Tale dicotomia è, in effetti, quanto mai sfuggente, giacché la precarietà dei quadri visivi polverizza qualsiasi tipo di gerarchia, ordine e centro in favore di un rapido susseguirsi d’immagini eterogenee.

 

Alberto Cucchia, eGmagazine 12/07