Karate: meditazione e principi filosofici

Lucio Giuliodori

Nel Karate, come per altro in tutte le Arti Marziali, è molto importante la respirazione. Nel kata sanchin (che è il primo kata del Karate Goju Ryu) essa svolge un ruolo fondamentale e si connette perfettamente ad alcune delle tecniche fondamentali di calcio e pugno.

Prendiamo come esempio proprio questo kata, per comprendere quanto sia importante e reale la connessione tra meditazione, concentrazione e respirazione. Il sanchin deriva dal metodo di meditazione in posizione eretta del Buddismo Zen e può essere praticato come una meditazione vera e propria. La respirazione è normalmente considerata come una semplice attività meccanica del nostro metabolismo: inaliamo l’aria che contiene principalmente ossigeno e azoto ed esaliamo anidride carbonica e azoto.

Di fatto accade esattamente così ma nella filosofia orientale, nonostante il concetto fondamentale risulti identico, la respirazione è spiegata diversamente. Si inspira per assimilare l’energia dell’universo (chiamata Ki in giapponese) e si espira per scaricare l’energia "sporca" prodotta dal nostro corpo. Esistono due tipi di respirazione: quella toracica (kyoshiki kokyu) e quella addominale (fukushiki kokyu), quest’ultima è anche quella che viene usata dai cantanti per produrre il suono, che non parte dalla gola bensì dal diaframma, dall’addome. (Non è un caso che in molte Tradizioni spirituali, come per esempio quella Sufi, il suono è l'essenza dell'essere).

La filosofia orientale come anche la medicina orientale, va da millenni sostenendo che proprio questa zona dell’addome, è un’area estremamente importante per l’economia energetica del nostro essere (mente e il corpo) e non è un caso che i tradizionali abiti giapponesi coprano sempre molto bene quest’area. Qui infatti risiede il Ki, concentrato in una zona sferica chiamata Tan Tien. Essa non è ovviamente un organo ma semplicemente l’area in cui viene accumulata l’energia e da cui poi la stessa energia viene ridistribuita in tutto il corpo. Il concetto è elementare: il modo più semplice per accumulare energia è praticare la respirazione fukushiki kokyu, cioè la respirazione diaframmatica.

Accumulando il Ki nel Tan Tien si produce una notevolissima forza interna, che può essere poi utilizzata all'esterno - non dovendo dunque necessariamente usufruire anche della forza muscolare, cioè "esterna". Il rapporto tra la forza interna, il Ki nel Tan Tien e quella esterna, i muscoli e la preparazione atletica, è nelle Arti Marziali, regolato e "supervisionato" dalla respirazione, o per meglio dire la respirazione concentrata o consapevole, la quale va dunque a ricoprire un ruolo direttivo nel risultato finale prodotto dall’Artista Marziale.

La pratica del kata sanchin, non è altro che una meditazione, formata da una simbiosi di respirazione, concentrazione ed esecuzione controllata di una serie specifica di calci, pugni e difese a vuoto (o meglio di fronte ad un avversario immaginario).

L’armonia delle tre attività eseguite all’unisono permettono di sviluppare una notevole riserva di energia interna, di potenziare la concentrazione e sviluppare una costante calma mentale, che è in termini filosofici, una sorta di attenzione dell’essere, o meglio dell’esserci: vivere il presente con consapevolezza, sentirsi un’unità armonica in movimento in cui la mente, concentrata, e il corpo anch’esso concentrato e "ritmato" dalla respirazione, si percepiscono e si potenziano, favorendo quell’integrità spirituale da millenni inseguita dai filosofi orientali e dagli Artisti Marziali, combattenti dello spirito prima che del corpo.

Il significato recondito del combattimento nel karate, non è vincere l’avversario, ma vincere se stessi, superare i propri limiti, conoscersi – nell’integrità e nell’integralità di mente e corpo – per migliorarsi. L’avversario è solo un simbolo, non a caso nel karate non c’è nemmeno l’affondo dei colpi, ci si ferma un attimo prima del contatto fisico, la potenza si produce ma non a fini di danneggiamento altrui (il ko della boxe per intenderci) ma per conferma e prova della propria capacità di produrre potenza, cioè energia concentrata, nata nel Tan Tien dopo un esercizio di meditazione e respirazione e prodotta poi all'esterno. E’ dalla forza interna che nasce quella esterna. E’ dalla mente che nasce la potenza, non dal corpo.

Questo è il grande insegnamento delle Arti Marziali. I bambini (fortemente "aiutati" anche dal pessimo contributo della televisione – la violenza gratuita sempre e comunque, sia nella cronaca che nei telefilm) spesso crescono col mito del più forte, cioè del più forte fisicamente. Questo è totalmente diseducativo e nel corso della loro vita rimarranno delusi nel constatare che per fare di un uomo un grande uomo i muscoli da soli non servono affatto.

La vera forza - che di fatto è ricchezza - va cercata e costruita altrove: dentro per l’esattezza.

Insegnamenti di questo tipo preparano inoltre a rapportarsi col mondo esteriore in un modo più costruttivo: “gli altri” non sono avversari, non sono "limiti" o nemici da sconfiggere ma semmai compagni di un cammino da fare insieme.

L’attenzione alla meditazione e al mondo interiore, nel corso di anni di pratica costante, porta alla comprensione che per cambiare il mondo, dobbiamo cambiare noi stessi. La saggezza orientale, riscontrabile nelle Arti Marziali e nella filosofia stessa, è una miniera d’oro da cui imparare il rispetto per gli altri e il perfezionamento di se stessi, attraverso l’autodisciplina, la concentrazione, la meditazione e lo sforzo fisico, quale risultato finale, quale conferma, quale prova tangibile e visibile di un’energia invisibile, fabbricata all’interno, fabbricata ad Arte, tra le colonne austere ed eleganti del tempio interiore, scrigno di una consapevolezza ulteriore.

 

Lucio Giuliodori